Fino a cinquant’anni fa la nostra popolazione, pur avendo una dieta a base di molti cereali, non conosceva la celiachia o l’intolleranza al glutine. C’è da chiedersi come mai? Penso che i principali fattori di questa impennata improvvisa sono tre:
1) Un tempo il medico di base prescriveva l’esame per la celiachia solo ai soggetti in cui la malattia era ormai conclamata (arresto o difficoltà di crescita e forte sottopeso). Aumentando il numero della popolazione sottoposto agli esami e con l’introduzione dei test ematici, questa percentuale è ovviamente cresciuta.
2) L’irraggiamento (è una tecnica di conservazione) dei grani ha portato a modificare sia la loro composizione, aumentando la percentuale di glutine, sia modificando la dimensione dei chicchi. Se da un lato la celiachia, essendo una patologia alimentare autoimmune permanente che si scatena in soggetti predisposti geneticamente in seguito all’ingestione di glutine, non è dose dipendente (il glutine fa sempre male al celiaco indipendentemente da quanto ne assume) non dovrebbe essere influenzata da questo fattore. Contrariamente, l’intolleranza al glutine, può variare in base al quantitativo introdotto durante tutta la vita. Questo è il motivo per cui si può diventare intolleranti anche in età avanzata a 30-50 anni.
3) Negli ultimi anni si è visto un peggioramento della qualità dei cibi presenti nelle nostre tavole. Sempre più alimenti industriali hanno preso il posto ai prodotti nostrani, cibi sempre più lavorati si sono fatti largo nella nostra cucina.
Infine, apro una piccola parentesi sull’intolleranza al glutine. Queste persone non presentano né una positività per i tradizionali autoanticorpi che si usano nella diagnostica della celiachia, né una positività alla biopsia dell’intestino duodeno, né il corredo genetico classico. La diagnosi è praticamente fatta attraverso una dieta di esclusione, ma presenta scarse certezze scientifiche. A oggi definirsi intolleranti al glutine vuole dire ancora tutto o niente.
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