La pasta al dente ha un basso Indice Glicemico a causa dell’intrappolamento fisico dei granuli di amido (di cui è composta) non gelatinizzato in una rete ben stretta di proteine (rete denominata glutine) contenute nell’impasto. Una pasta cotta “al dente” non significa cruda, ma cotta al punto giusto, ossia il tempo sufficiente a far idratare i granuli di amido, ma non tale da farli scoppiare del tutto e liberare il loro contenuto nell’acqua di cottura. Inoltre, in questo modo si preserva la pasta da una perdita di sostanze nutritive che altrimenti finirebbero nell’acqua di cottura. Una pasta cruda, invece, risulta difficilmente digeribile in quanto non è attaccabile dagli enzimi digestivi. La pasta al dente ha un Indice Glicemico di 45 (quindi basso), per quella ben cotta questo valore sale invece di molto, risultando inadatta per chi è diabetico ad esempio. Questo fa sì che la pasta al dente sia più digeribile di quella molto cotta. La pasta scotta, viceversa, nel tubo digerente tende a formare un impasto colloso che non solo è difficile da digerire, ma rende enormemente più difficoltoso il transito intestinale: ne possono conseguire episodi di stitichezza e dolori addominali 🙁 Mi spiego meglio: la pasta troppo cotta paradossalmente richiede molto più tempo di quella al dente per essere digerita, questo perché formando aggregati di amido “collosi” gli enzimi digestivi impiegano molto tempo a raggiungere il centro di tale aggregato, per poterlo digerire tutto. Inoltre, la pasta cotta al punto giusto permette all’amido (e quindi al glucosio) di essere assimilato in maniera graduale e impedisce un innalzamento repentino della glicemia (i cosiddetti picchi glicemici). Questo discorso vale anche per il riso, e per tutti i carboidrati contenenti amido se la cottura viene prolungata.
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